
Geologia e Natura del Monte Baldo
Testo di Alessio Bertolli - Angelo Amadori Maurizio Cristoforetti
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Dallo studio dei fossili e dalle caratteristiche delle rocce sedimentarie che formano il Monte Baldo è possibile risalire all'ambiente e alle complesse vicende geologiche che si sono succedute nell'area baldense.
1.- Era Mesozoica
Durante il Triassico, c.a. 230 milioni di anni fa, le aree del Monte Baldo rimasero coperte da mari poco profondi di tipo lagunare. In questi ambienti si andavano depositando i sedimenti carbonatici che successivamente si trasformarono nei calcari. Talvolta i bassi fondali potevano andare in emersione, e fu durante queste fasi che i dinosauri poterono camminare su tali sedimenti, lasciando le loro impronte che si sono conservate fino ai nostri giorni. La fine del Giurassico fu caratterizzata da un rapido sprofondamento dei fondali marini. Si formarono così in tutto il Trentino, e in particolare nella zona del Monte Baldo, mari profondi qualche chilometro, dove si andavano depositando i sedimenti che poi in seguito diedero origine agli strati carbonatici del Rosso Ammonitico, del Biancone, della Scaglia Rossa. Tali condizioni di mare profondo rimasero tali fino a 65 milioni di anni fa.
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2.- Era Cenozoica
Alla fine del Cretaceo, 65 milioni di anni fa, si verificò lo scontro fra la placca Africana e quella Euroasiatica, e ciò comportò l'inarcamento e l'emersione dei sedimenti con la formazione delle Alpi. Tale innalzamento, anche se con velocità molto ridotta, è ancora in atto. Le continue e potenti spinte orogenetiche fecero aumentare la pendenza dei versanti del Baldo e lo sollevarono. Si pensa che l'assetto attuale si sia realizzato in un periodo compreso tra 2 e 5 milioni di anni fa, cioè alla fine dell'era Cenezoica.
3.- Era Quaternaria
Due milioni di anni fa il clima mutò e si verificò una notevole diminuzione delle temperature ed un aumento delle precipitazioni nevose. Cominciarono a formarsi le prime masse di ghiaccio che, dalle vette alpine, scendevano verso valle fino a raggiungere la pianura. Si verificarono parecchi episodi glaciali, separati l'un l'altro da intervalli di tempo lunghi decine di migliaia di anni. Durante l'ultima grande glaciazione, che culminò intorno a 18.000 anni fa, nella zona di Brentonico ci era una coltre di ghiaccio che superava i 1.600 metri di quota sul livello del mare. Le aree più elevate della dorsale del Monte Baldo non furono raggiunte dai ghiacciai e costituirono cos' un'oasi di rifugio per molte specie vegetali.
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La catena del Monte Baldo,ben definita nei suoi contorni, si allunga da nord a sud per ben 37 Km ed è larga mediamente 11. Il lago di Garda, che dalle cime si ammira in tutto il suo splendore, ne mitiga il clima.
Per i botanici il Monte Baldo è un eden non solo per i fiori, ma anche per le piante officinali le cui proprietà erano conosciute fin dal medioevo; i geologi e gli speleologi non hanno che l'imbarazzo della scelta; per tutti può costituire fonte di scoperte che danno soddisfazioni intime e genuine.
E' probabile che il nome derivi dal termine celtico " Bwald " (monte-selva), al quale è stato preposto, dopo la conquista romana, il sostantivo latino mons che pure significa monte.
Dalla felice unione dei due termini, germanico l'uno e latino l'altro, aventi lo stesso significato, è derivato un toponimo che dà l'idea di giovinezza e vigore, che ben si addicono al Monte Baldo.
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Certamente queste note non hanno la pretesa di esaurire l'informazione sul Monte Baldo. Libri e bibliografie ne danno ampie spiegazioni.
La catena ha la prerogativa , come si è detto, di costituire un ponte tra la Pianura Padano-Veneta e le Alpi vere e proprie. Se a questa tipicità uniamo il fatto che dal lago di Garda, cui si deve l'esistenza di un microclima mediterraneo, si passa in breve tratto agli oltre 2.000 metri delle vette, ci si spiega la grande varietà floristica del Baldo tanto da poter notare a colpo d'occhio le fasce di vegetazione, soprattutto sulle pendici gardesane. Agli olivi ed oleandri che prosperano in prossimità del lago, si susseguono via via verso l'alto querce, frassino, carpine e soprattutto faggio e, dai 1.500 metri in su, ampie zone di mughi e rododendri; il tutto ovviamente intervallato da vaste aree prative. Ma nelle conche vallive e sugli altipiani delle zone interne il re del Baldo è certamente il faggio, che ha trovato lassù il suo habitat ideale e di cui rimangono riserve ed esemplari di rara bellezza.
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Ora il bosco ceduo non più sistematicamente sfruttato come un tempo per la legna da ardere e la carbonificazione, si stà gradualmente espandendo prendendosi piano piano la rivincita anche sul disboscamento avvenuto durante la prima guerra mondiale; ma rimangono molti problemi legati all'abbandono da parte dell'uomo delle tradizionali attività legate alla montagna, che risuona sempre meno dell'allegro scampanio dei bovini all'alpeggio, mentre sempre più ampie sono le zone prative non sfalciate. Forse è bene ricordare che boschi e funghi, prati e fiori, torrenti e valli, malghe e baite, tutto insomma costituisce un inestimabile patrimonio da godere, ma del quale ciascuno di noi è responsabile e di cui dovremo rendere conto ai nostri figli.
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Il Monte Altissimo
Tratto da " Un paesaggio tra Alpi e Prealpi di Aldo Gorfer Edizioni CIERRE
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L'Altissimo è il monte di Brentonico. Si può dire che l'Altissimo rappresenti il Baldo trentino, ben distinto e staccato rispetto al Baldo veronese. Gli scrittori del '500, Flavio Biondo e Leandro Alberti, chiamavano il Baldo < l'altissimo monte > perchè tale appariva da Verona e dalla pianura.
Geograficamente la caratteristica dell'Altissimo è quella di sorgere solitario ed isolato al centro di un cerchio di montagne straordinarie. La sua panoramicità è certamente una delle sue prerogative più spiccate. Nelle giornate limpide lo sguardo può spaziare dal gruppo del Brenta, dall'Adamello alle Alpi Svizzere, dagli Appennini alla laguna di Venezia.
Anche a ciò deve la sua fama e il fatto di essere meta di folte schiere di escursionisti. La sua facile accessibilità ne fece probabilmente sin dall'antichità un territorio frequentato dall'uomo, come sembra testimoniare il recente rinvenimento in una buca da neve di uno scheletro che si fa risalire all'età longobarda. Ma forse sin da allora, era raggiunto dai pastori di pecore e poi, nei secoli scorsi, da botanici e studiosi vari.
Il Brentari si sofferma a lungo per descrivere l'Altissimo, su cui pochi anni prima era stato costruito un rifugio che è quello di oggi, ristrutturato e dedicato a Damiamo Chiesa, patriota e irredentista roveretano. Ma l'Altissimo era ancora allora, come sempre, meta di transumanti pastori, che salivano d'estate dalle valli adiacenti e dal veronese, utilizzando i pascoli della sua parte più elevata.
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Nella parte più bassa salivano invece le mandrie di mucche; dei belati delle pecore il monte risuonò sempre, e così pure delle tribolazioni dei pastori e dei loro richiami. Tutto ciò però nel contesto di una guerra atroce, difficile, che ha lasciato sull'Altissimo come nelle altre montagne scenario bellico, una sorta di mestizia, un velo di tristezza che si avverte insieme con le testimonianze archeologiche della guerra( 1914-1918): fortificazioni, caminamenti strade.
Tra queste la nota strada Graziani, grazie alla quale la cima dell'Altissimo diventò facilmente raggiungibile da Brentonico. Lungo la stessa strada arrivano oggi gli escursionisti e i gitanti che in gran numero raggiungono la cima del Monte.
L'alpinista o l'appassionato di montagna che sale sull'Altissimo a 2078 metri potrà godere della salita alla cima come un dolce, sereno ascendere verso le straordinarie visioni della montagna. La quale è sempre lo scenario primo, lo sfondo di Brentonico e dei suoi paesi vicini, l'imprescindibile presenza che per le popolazioni brentegane ha funzioni protettive. Il riferimento a cui si guarda per avere la certezza di essere lì, di trovare indicazioni e di sentire il tempo che scorre: la montagna sopra il paese come misura della vita al contrario delle vicende fuggevoli che accadono in basso, verso Brentonico e la val d'Adige, dove corre veloce la storia.
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La Valle della Sorna
Tratto da “Brentonico e il Monte Baldo” di Vincenzo Passerini ed Eugenio Turri
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La nicchia brentonicana corrisponde ad una conca di escavazione laterale della Val d’Adige. Essa si è formata in rapporto ai processi di erosione che dal basso morde verso l’alto. L’erosione ha scavato e approfondito il solco della Val Sorne che sbocca presso Chizzola in quel di Ala e, procedendo in alto, ha isolato dei ripiani e delle cornici che, simili a gradini, si succedono sulle pendici dell’Altissimo.Tra questi spicca quello spettacolare, bellissimo, di Corna Piana. La grande dorsale Monte Baldo-Altissimo è, dal punto di vista geografico, come una grande barriera cha fa da sfondo alla nicchia brentonicana, la quale nicchia è poi completata dalle dorsali che si diramano dalla struttura baldense.
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I ripiani, le dorsali e i piccoli altipiani che l’erosione ha isolato in alto, costituiscono gli spazi principali dell’area. Storicamente l’erosione ha determinato episodi franosi ripetuti ed in alcuni casi di grande impatto sull’uomo e i suoi insediamenti. Famosa è rimasta negli annali di Brentonico la frana che nel 1648 fece sparire la frazione di Fano, nonché quella che nel 1885 ha investito il terrazzo dei Boioni tra Sorne e Brentonico.
In rapporto a queste morfologie il territorio brentonicano risulta molto frammentato pur all’interno di un’unità d’insieme che ha il suo elemento legante nella Val Sorne e il suo centro funzionale e perno simbolico a Brentonico, insediamento non a caso di antichissima origine.
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